“APPUNTI DI MODA dalla SUN” // «Liberato»: producer o prodotto? poesia o merchandising?

“APPUNTI DI MODA dalla SUN”, lo spazio F&F che da voce e penna ai laureandi in Design per la Moda al Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” (ex S.U.N. ovvero Seconda Università degli Studi di Napoli).

Benvenuta Nadia Colamatteo.

 

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Un urlo contro la mera mercificazione musicale delle major o un illuminante progetto di marketing studiato a tavolino tra Milano e Napoli per creare curiosità e interesse (economico)?

In un’arena globalizzata in cui non conta il valore materiale di un bene ma il messaggio immateriale che se ne percepisce, «Liberato» si palleggia due statement: da un lato un prodotto musicalmente “apposto”, stilisticamente ineccepibile e di efficacia mediatica, dall’altro un messaggio di appartenenza, storicità e verità. E questo messaggio immateriale, subliminale vale tutta l’intenzione dell’artista, sormontando di gran lunga il prodotto stesso.

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A distanza temporale dal suo momento clou di esposizione musicale e lookologica, Liberato fa ancora underground quanto basta, perchè continua a raccontare ragazzi napoletani che vivono la città in una irresistibile contraddittorietà: amore, passione, dolore ed emozioni vere sono narrate con ritmo, leggerezza e “veste” giusta.

Sin dalla traccia d’esordio «Nove maggio», dove la baby model ha la voce del cantante e nasconde dietro un trucco deciso e tutti i “pezzi” e i brand dello street fashion (parola di NSS Milano) la tristezza di una amore finito, anzi scurdat’. Poi proprio il 9 maggio 2017 esce sempre su youtube «Tu t’e scurdat’ ‘e me» coi due scugnizzi belli, appassionati e indivisibili: un amore secondo solo al dio Maradona. Scenari di quartiere o periferia napoletana, come i primi due, anche per il successivo «Gaiola portafortuna», che lamenta le sofferenze del cuore ma stavolta i due innamorati sono napoletani d’adozione. L’ultimo (in ordine anche di like) «Me staje appennenn’ amò» racconta invece un amore omosessuale prima, transessuale poi: il soliloquio iniziale, tradotto con sottotitoli anglo-global, supporta una condizione trasversale affrontata con coraggio.

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Tematiche attuali e vicinissime alla voglia di out-standing dei giovani musicofili e “streetfashion addicted” da tutto lo Stivale, illustrate a tinte goliardiche, modaiole e ruffiane quanto basta: è proprio questa la leva più partenopea della crew «Liberato», ben consapevole dell’heavy rotation e i riflettori mediatici di questo momento su Napoli e la napoletanità.

Outfit di griffe che diventano main promoter/brand come Converse, Nike o Calvin Klein; felpe oversize, canotte e tute extra large si alternano a body in velluto, backpack e supa-sneaker o V’rsaci mood e catene d’oro da subculture leggendarie.

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Napoli è assoluta: qui girato il video, qui l’amore nasce, cresce, esplode e dissolve; napoletano ogni attore, la costumista e il regista; in napoletano si canta. Sarebbe assurdo pensare che l’autore stesso non sia partenopeo: giusto? Eppure il mistero da cui è ancora avvolto (ma a nessuno più importa) il forzato anonimato di Liberato, a cui non ha ceduto neanche sui palchi di Milano e Torino l’anno scorso, ha strategicamente ingenerato promo-teorie secondo cui altro non è che un progetto di marketing cesellato per promuovere artisti già noti.

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Similitudini coi colleghi Calcutta, Dj Shablo, Izi e Priestess: sono stati volto e voce di Liberato al Mi Ami Festival. E il regista Francesco Lettieri, al quale è praticamente dovuto il successo dell’artista (o collettivo d’artisti), è un ponte che riporta all’etichetta Bomba Dischi, label di Calcutta e co.

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Al brand Liberato resta ancora la buona nomenclatura di artista che fa musica ad hoc, facile e fruibile da tutti, gratuitamente su YouTube e non in vendita su i-Tunes.

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di Nadia Colamatteo

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